Sono sempre stato un sostenitore del ricorso all’utilizzo delle tecniche di mimetismo nella pesca subacquea. Al giorno d’oggi, la relativa scarsità di prede e la crescente difficoltà con le quali si riesce a portarle a tiro, hanno convinto un buon numero di pescatori a considerare i camuffamenti più o meno spinti un ausilio utile per incrementare le probabilità di realizzare onesti carnieri. Purtroppo il mondo della caccia in apnea è pieno di campioni e primedonne, che tendono a deridere chi prova a compensare le proprie lacune tecniche ricorrendo all’ottimizzazione dell’attrezzatura. È una diatriba vecchia come il mondo: c’è chi nasce “imparato”, e c’è chi riesce a investire buona parte del proprio tempo libero nel miglioramento della tecnica. Poi ci sono quelli che non sono né l’una né l’altra cosa, e che grazie anche a mimetismo e cura maniacale dell’attrezzatura riescono a diminuire il numero delle uscite a vuoto.
Partiamo da questo presupposto: di pesci, ahi noi, se ne vedono sempre meno, e quei pochi che ogni tanto riusciamo a incrociare si tengono a debita distanza, quasi a volerci prendere per i fondelli. Si potrebbe sorprenderli all’agguato, ma non è semplice, visto che a causa di natanti e bracconieri le specie che frequentano il bassofondo rimangono costantemente allerta. Allora che fare? Molti pescatori con la puzza sotto il naso, di quelli che frequentano i social e pontificano su qualsiasi novità venga proposta dagli hobbisti o dai produttori (questi ultimi spesso considerati degli speculatori/usurai che vendono soltanto marketing), se ne escono col più banale dei consigli: “Andate a pescare“.
E grazie! verrebbe da rispondere, risparmiando in questa sede ciò che solitamente completa la frase.
Per dimagrire bisogna mangiare meno e fare moto, e per dissetarsi basta bere. Più o meno il livello di ovvietà è lo stesso. Purtroppo non è altrettanto ovvio che un pescatore: 1) riesca ad andare al mare spesso; 2) riesca a sviluppare una tecnica sufficientemente efficace. Se il segreto per migliorarsi in qualsiasi disciplina sportiva (e la pesca rientra nella categoria) fosse l’impegno e la costanza, io probabilmente giocherei a calcio in serie A. E invece non sono arrivato neanche in terza categoria. Pertanto, per cercare di ridurre ai minimi termini cappotti e frustrazioni, un “normale” pescatore subacqueo – oltre ad andare a pesca e cercare di migliorare la tecnica fin dove riesce – deve adottare altri stratagemmi: curare l’attrezzatura, trovare posti pescosi, utilizzare richiami e, dulcis in fundo (e qui veniamo all’oggetto dell’articolo), rendersi “invisibile“.